grammatica italiana

In alcuni libri in commercio troviamo però casi di abuso della consonante, addirittura con utilizzo arcaico della congiunzione “o”. E molti sono gli addetti ai lavori che aggiungono la “d”, anche se non è affatto necessaria.

Si può far finta di niente od attenersi alla procedura.


Un simile impiego rende la lettura pesante e poco piacevole oltre a dare spesso l’idea di un testo antiquato, altisonante e inutilmente ricercato. Può essere tollerabile nel linguaggio amministrativo e giuridico, ma negli ultimi anni è in corso un’abolizione del burocratese anche in questi settori, con esagerazione delle “d” eufoniche annessa.

La regola più diffusa resta comunque l’utilizzo della “d” in raccordo di due vocali identiche, per testi scorrevoli e amabili da ascoltare e da leggere.


Ed entrò senza chiedere permesso.


Questo precetto è seguito dalla maggior parte degli editori.

Bisogna notare che in base alle diverse zone d’Italia la “d” eufonica viene utilizzata in maniera differente. Sopravvive in maggior misura, anche nel parlato, nelle regioni centrali e meridionali del nostro Paese. È poi anche una questione generazionale. In linea di massima, dai quarant’anni in su si tende a farne un maggiore utilizzo, mentre nel linguaggio giovanile è sempre meno considerata. Sono queste valutazioni generali, da prendere con le pinze.


Solitamente è l’uso che fa la norma, così, per evitare di farne un caso di rilevanza nazionale, il comportamento più corretto da tenere sarebbe seguire la regola della “d” tra due vocali uguali, facendo attenzione però alla resa musicale nella lettura, per non rischiare di cadere nella situazione opposta: la cacofonia.


Ed Edoardo non suona bene nonostante la “d” colleghi due vocali uguali. Ci sono poi dei casi in cui è necessario utilizzarla anche se le vocali da congiungere sono diverse, è il caso di ad esempio.


Rossella Monaco


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